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Carlo Fabrizio Carli

GIULIANA CAPORALI

La stagione dei pastelli

(1994 - 1999)

 

Questa pubblicazione si propone di documentare un aspetto particolare dell'attività artistica di Giuliana Caporali, ovvero i suoi pastelli, stagione che aveva avuto un avvio quasi casuale (il dono di un'allettante scatola di pastelli inglesi da parte degli allievi, al momento di andare in pensione), seguito dall'appagamento operativo offerto dalla tecnica.

Si tratta di un nucleo di opere circoscritto tanto dal punto di vista quantitativo (in tutto una trentina di pezzi), quanto da quello temporale di esecuzione (un quinquennio, dal 1994 al 1999), che da quello tematico (architetture e ritratti), che infine da quello espositivo (tre le rassegne coeve: a Roma, presso lo Studio S di Carmine Siniscalco, 1994, mostra presentata dal sottoscritto; Parigi, 1998, Salle Boissière; Roma, Torretta di Ponte Milvio, 1999, entrambe con un testo di Mario D'Onofrio). Caporali iniziò ad applicarsi alla tecnica del pastello dopo aver concluso un'altra fase significativa del suo itinerario pittorico, quella dei grattacieli. In quel periodo (l'intero corso degli anni Ottanta) il suo immaginario pittorico, anche a seguito di viaggi e di soggiorni oltreoceano, era stato catturato dal tema degli sky-scrapers di immaginarie megalopoli, dove gli slanciati colossi di cemento e di acciaio si moltiplicavano con andamento parossistico, incubico perfino, fino a saturare gli scenari urbani in una sorta di horror vacui. In quei dipinti, era istintivo scorgere i lineamenti della metropoli per antonomasia, New York; più esattamente una Manhattan dilatata con andamento esponenziale, quasi per effetto di ossessione o, forse, di allucinazione visionaria.

 Non si ritengano le considerazioni appena esposte divaganti rispetto all'argomento centrale del nostro discorso; tutt'altro, anche a dimostrazione della serrata coerenza compositiva e concettuale del percorso di Giuliana Caporali. Ed ecco che le tassellature cromatiche, originate dalle sagome dei grattacieli, affiancare spontaneamente le geometriche scansioni delle rocche e delle mura merlate, protagoniste della stagione dei pastelli. Ma, del resto, il disagio nei confronti di prospettive massificate e massificanti del vivere, ben si associa al vagheggiato volto medievale (perché Caporali dipinge rocche, non certo le mura bastionate, imposte dalla balistica dei cannoni) di insediamenti fortificati, di cui l'Italia è fortunatamente ancora così dotata. I pastelli di Caporali, peraltro accompagnati da una serie di oli affini, realizzati mediante una pasta cromatica densa e materica, grazie all'addizione di sabbia al colore, hanno quale soggetto di gran lunga prevalente, benché non esclusivo, castelli o cinte murarie capaci di trasformare in altrettante rocche i palazzi e le torri che esse racchiudono: Radicofani, Castelfranco Veneto, Suzzara, Barbarano, Colle Valdelsa, Cosenza, Le Castella a Capo Rizzuto, e via di questo passo. Aprendosi altresì a qualche particolare architettonico, che l'ha particolarmente colpita nel corso dei suoi viaggi, come la finestra a triplo archivolto del castello di Hedingham in Inghilterra. Luoghi che Caporali ha visitato e magari catturato, schizzandoli a matita e carboncino nei suoi album (invece per l'elaborazione dei pastelli, Caporali non ha mai fatto ricorso a disegni preparatori).

Ma attenzione: lo spunto di riscontro del vero, che pure è innegabile, finisce con il rarefarsi, col trasformarsi in mero pretesto, catafratto in una dimensione onirica, in un contesto di evanescenti, sognate parvenze. Al cui proposito Mario Verdone aveva giustamente evocato taluni effetti della fotografia sperimentale, capace di dissolvere l'evidenza fenomenica dell'immagine. 

A questi risultati contribuisce in modo sostanziale la tecnica adottata da Caporali, di cui uno storico del calibro di Jean Clair volle tessere un'appassionata apologia. Il pastello: una tecnica relativamente recente, mentre altre risalgono magari alla più remota antichità, erede del Settecento vaporoso e raffinato, libertino e dissacratore. Un nome riesce istintivo: Rosalba Carriera (tutto confluirà poi nel lavacro cruento della grande Rivoluzione e della folgorante avventura napoleonica). Ma è nel corso dell'Ottocento che il pastello assurse al rango di autentico virtuosismo qualitativo, di pari passo con il raffinarsi tecnico del materiale, consentito dai progressi dell'industria chimica: basti pensare ai nomi di Federico Zandomeneghi e, principalmente, del più grande di tutti, Edgard Dégas. Oggi il pittore ha a disposizione una gamma sorprendentemente vasta di colori e il pastello è ormai in grado di registrare la più lieve variazione cromatica, a gara con la tavolozza più dotata. Lieve e tenace, libero ed esigente, il pastello. Lieve nello sfarinarsi, allo sfregamento sulla carta, in una polvere impalpabile (ma è invece, un confronto arduo, un combattimento talvolta nient'affatto idillico quello tra l'artista e la sua opera). E, al tempo stesso, sorprendentemente, è un materiale tenacissimo, adatto a resistere in modo ottimale nel corso del tempo. Libero, per la possibilità che assicura al gesto della mano sul foglio, senza dover ricorrere neppure alla mediazione del pennello; talvolta sono direttamente le dita, ormai ricoperte di polvere cromatica, ad intervenire sul supporto di carta. Libero ma pure esigente, perché richiede che l'artista abbia chiara nella mente, fin dall'inizio, l'architettura della composizione, in quanto il pastello non consente di variare o di correggere, se non in limitatissima misura, quanto si è delineato, pena l'irreparabile danneggiamento. Ed è anche duttile il pastello: i virtuosi della tecnica riescono a rendere persino il particolare più minuto, la tonalità cromatica più segreta.

E tuttavia questo pur legittimo e seduttivo registro di lettura mi pare lasciare il campo a ulteriori considerazioni. Anche altri mi sembrano i temi qualificanti e, al tempo stesso, i motivi di interna continuità del lavoro di Giuliana Caporali. In primo luogo, un'attitudine architettonica, peraltro declinata su due diversi registri: uno tematico (se n'è già detto); l'altro più propriamente pittorico, di elaborazione tecnica del pastello, che l'artista organizza mediante il ricorso ad una sorta di ordinata tassellatura. Un po' come i conci di pietra che si giustappongono gli uni agli altri, dando vita al paramento murario.

Di quelle antiche architetture, ciò che maggiormente ha colpito la pittrice è l'idea di forza, di rassicurante sicurezza. Riesce agevole, a questo punto, individuare un nesso di coerente contiguità tra il disagio, l'incubo perfino, causati nell'artista dalla metropoli contemporanea, e l'opzione per l'organica, austera ma serena misura umana su cui quei volumi di pietra furono esemplati e che ancora sono in grado di irradiare: il dispiegarsi dell'itinerario di Giuliana Caporali consentendo così di mettere a fuoco il latente significato ideologico pure della precedente stagione pittorica.

Non si tratta, beninteso, di alcuna evasione in un passato pittoresco: basti pensare a quanti architetti contemporanei hanno scorto nelle cerchia murarie, nelle loro torri e spalti altrettanti prototipi formali e funzionali, capaci di insegnare molto anche alla città contemporanea. Un esempio soltanto: il celebre architetto statunitense Louis Kahn, che affidò il motivo di maggior suggestione ed emergenza urbana del piano urbanistico per Philadelphia a colossali torri cilindriche, destinate a silos per automobili, individuate come la nuova insidia da cui difendere la città.

Non solo: le antiche cerchie murarie che magari - come nel caso di Lucca - non ebbero mai occasione di difendere i centri da loro racchiusi dagli assalti di eserciti nemici, obbiettivo per cui erano state costruite, salvarono invece i centri storici, che ebbero la saggezza di conservarle (e fu, al tempo, occasione di scelte difficili e contrastatissime), da stravolgimenti viari e sbrigativi aggiornamenti edificatori tra la seconda metà dell'Ottocento e i primi trent'anni del secolo scorso, dopodiché una vasta alterazione in un centro antico sarebbe apparsa chiaramente per quello che è oggettivamente, ovvero un atto delittuoso e culturalmente indifendibile.

Della fase dei pastelli di Giuliana Caporali va rammentata pure una breve sequenza di eleganti ritratti e autoritratti che trovano un referente di immediata evidenza in un nome illustre, già evocato: Rosalba Carriera. Con piena coerenza, una delle più singolari e intriganti fra queste carte (Autoritratto con tricorno) vuole essere un tributo dichiarato alla celebre pittrice veneziana.

Un finale motivo di continuità, nella coerente storia interna della pittrice, è offerto, in questi pastelli, dalla persistente fascinazione da parte degli accordi tonali della tavolozza, che aveva lontani innervamenti nel clima della Scuola Romana. Non certo a caso, Giuliana Caporali era stata, all'Accademia di Belle Arti, allieva di Roberto Melli, rimanendogli poi sempre amichevolmente legata. Tonalismo significa, del resto, interesse primario per la ricerca in ambito di energia luminosa, che difatti assume un ruolo essenziale per conseguire l'atmosfera di sospensione onirica, di magico straniamento in cui (e di cui) vivono questi pastelli.

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